
Qualcosa si è inceppato nella filiera agroalimentare italiana, le più elementari leggi dell’economia non funzionano più. Quando i costi aumentano i prezzi salgono, quando i costi diminuiscono i prezzi scendono: era la vecchia regola, ormai archiviata dalle quotazioni stellari di pane e pasta. Di questi tempi, dimostrano i dati diffusi dalla Coldiretti, i listini di pagnotte e maccheroni si appesantiscono, sempre e comunque. Tra gennaio e settembre 2008 il prezzo del grano duro è calato da 50 a 30 euro al quintale (meno 40%), quello del grano tenero da 30 a 20 euro al quintale (meno 33%). In teoria una buona notizia, in pratica un nulla di fatto per i consumatori finali: il pane arriva sulle loro tavole al prezzo medio di 2,85 euro al chilo, con un rincaro del 1.325% rispetto al costo della materia prima necessaria per produrlo. Anche la pasta è foriera di un salasso simile: al prezzo medio di 1,5 euro al chilo, subisce un rincaro del 369%. Abbastanza per mandare di traverso anche un goloso piatto di spaghetti. «A favorire la crescita dei prezzi nell’agroalimentare - sottolinea l’organizzazione degli agricoltori - sono le distorsioni e i troppi passaggi esistenti nel percorso dei prodotti dal campo alla tavola». Caduto l’alibi del caro-grano, che ha tenuto banco nel 2007 a causa della scarsità dei raccolti e della sostenuta domanda dai paesi asiatici, il salasso ai danni dei consumatori finali si fa di limpida chiarezza. Non a caso
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