Il 15 luglio è morto Gianni Alghisi di Orzinuovi.
Ecco come lo ricorda Sergio Scalvenzi
“Ci sono morti più leggere di una piuma e morti che pesano più del monte Pei”.
E’ una vecchia massima, certo, ma a volte non c’è altro modo per dire quello che ci preme sul cuore. Tutte le morti portano dolore, distacco, ma alcune pesano più di altre, perché chi se ne va lascia vuoti enormi, di cui ci si rende, forse, conto dopo, tardi. E ci si chiede come mai.
Gianni è morto, improvvisamente, stranamente, non si capisce nemmeno come. E fai fatica a crederlo. Perché tutti lo hanno visto ieri, o ieri l’altro, tutti hanno un ricordo recente, qualcuno anche un mezzo impegno preso con lui. Con lui che invece è morto.Tutti si muore, certo. E tutti ci si meriterebbe una morte “migliore”. Lui di certo l’avrebbe meritata.
Che dire di lui? Una volta sarebbe stato sufficiente dire: era un compagno, e tutti avremmo capito al volo cosa si voleva dire, cosa significava. “…chiamare “compagno” qualcuno significava attribuirgli non solo una convinzione politica, ma riconoscergli un valore di umanità, di onestà, di generosità, di attendibilità che nessun’altra parola poteva esprimere con eguale compiutezza” Ma non sono più tempi così. Ecco: Gianni non era solo un comunista, coerente con le sue convinzioni anche quando era approdato a “sponde” partitiche diverse da quelle da cui era, molti anni fa, partito. Gianni era l’incarnazione, qui ed ora, di quei valori di umanità, di onestà, di generosità, di attendibilità.
Gianni c’era sempre e comunque per chi aveva bisogno di lui, spesso anzi precedeva lui stesso questo bisogno offrendo a priori i suoi servizi, operando perché i problemi non avessero nemmeno a sorgere.
Gianni era un uomo buono, generoso, altruista. C’era sempre, da per tutto, per tutti. Magari non sempre in modo rigoroso, magari un po’ confusamente, in maniera un po’ arruffata alle volte, ma sempre con grande passione, con grande attenzione ai deboli, ai piccoli, agli indifesi. Deboli, piccoli, indifesi…la povera gente, quelli che il nostro secolo arruffone e arraffone non si perita di considerare, non si preoccupa se restano ai margini, se soffrono, se non hanno da mangiare, se vengono trattati male…Tutti questi erano invece al centro della sua attenzione, erano la sua bussola. E rompeva alle volte le scatole anche a tutti noi perché diventassero anche la nostra bussola, o almeno perché li si prendesse in considerazione, gli si prestasse attenzione, li si aiutasse quando avevano bisogno.
Era stato anche altro, consigliere comunale, animatore assieme ad altri e presidente di quella esperienza grande e bella di intelligente solidarietà che è stata la Cooperativa Edificatrice Speranza, sindacalista nella sua azienda e poi nei pensionati della CGIL, membro del Consiglio di Amministrazione del Garibaldi, aiuto prezioso per le squadre giovanili della Orceana, e chissà cos’altro ancora.
Ma soprattutto era la persona a cui tutti si potevano rivolgere per chiedere aiuto, ogni tipo di aiuto. Lui c’era, lui muoveva quel che andava mosso, lui cercava una soluzione. Sembrava avere il dono dell’ubiquità, a volte, te lo trovavi da per tutto e sempre con un casino nuovo da risolvere tra le mani. E senza chiedere mai niente, mettendoci spesso del suo, ne siamo convinti tutti.
Ed ora non c’è più e tutti noi siamo più soli. A noi mancherà il compagno, la persona con cui abbiamo condiviso lotte e speranze, ma a molti mancherà, e molto, l’amico, l’amico che aiutava e proteggeva, che dava speranza. Un sacco di volte tra di noi ci si è detto che avremmo dovuto proporlo per il cavalierato, che nessuno meglio di lui avrebbe meritato anche il “San Giorgio”. Ma non ne abbiamo mai fatto niente, anche per non sentirci prendere a male parole da lui. Ma almeno ora vorremmo riuscire a farlo uscire, almeno per un attimo dall’anonimato in cui ha sempre operato, che finalmente venga tolto il velo con cui nascondeva il suo molto e faticoso operare. Vorremmo per un momento solo farlo venire alla luce, davanti a tutti noi, per poter avere il nostro grazie.
Sergio Scalvenzi
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